GAETANO MARTINEZ
l'uomo e lo scultore - biografia

HOMEBIOGRAFIAOPEREMOSTRECATALOGHITESIBIBLIOGRAFIACREDITS

 

 

2 PROFILO BIOGRAFICO

 

 

 

a cura di Federica Riezzo

 

Quando morì, iI 1 ottobre del 1951, Gaetano Martinez era uno scultore apprezzato da molti critici.

"Scomparsa di Martinez, uno scultore che non sarà dimenticato", titola "La Fiera Letteraria" di Roma (1); "Un lutto per l'arte italiana" scrive Alberto Neppi su "La giustizia" (2), e dello stesso tenore sono altri articoli sui quotidiani di tutta la penisola.

 

Ma chi era Martinez? Lo scultore di talento cui fu concessa una sala personale alla Biennale di Venezia del 1942, ma anche I'artista che aveva lavorato in precarie condizioni economiche in uno stambugio presso Campo dei Fiori a Roma; il destinatario di premi ed onorificenze durante il trentennio che lo vide operante nella capitale e, al tempo stesso, un uomo che dovette lottare fino alla fine contro I'avvilente indifferenza degli ambienti artistici ufficiali e della committenza.

Nato a Galatina (in provincia di Lecce) il 14 novembre del 1892, Gaetano Martines (questo il vero cognome all'anagrafe, poi corretto dallo stesso scultore in Martinez forse per ricordare Ie origini spagnole), appartiene ad una famiglia di lavoratori: iI padre gestisce come capomastro muratore una piccola impresa edile. E' proprio a contatto con il lavoro di questi che il giovane Gaetano scopre la sua attitudine a lavorare la pietra leccese, così malleabile che "per scolpirla si adoperano gli stessi arnesi che servono per intagliare il legno" (3)

Sono mensole, fregi, capitelli, stemmi, creati per ornare edifici e ville di privati (1. 3), i primi frutti del suo lavoro come scalpellino, intrapreso dopo aver frequentato solo per qualche anno la Scuola locale di Arti e Mestieri (corsi extrascolastici serali di disegno per artigiani) ; se ne era stancato quasi subito il giovane allievo, ansioso di apprendere, di studiare, di entrare in contatto con la "vera arte", non con Ie aride nozioni tecniche che  gli veni vano trasmesse.

I primi segnali, questi, di uno spirito indipendente e soprattutto conscio del proprio talento che lo conduce in breve tempo all'insofferenza nei confronti dell'ambienG.Martinez, Autoritratto caricaturale, 1921te della sua città: i suoi concittadini, infatti, lo rendono spesso oggetto di atteggiamenti che dall'incomprensione sconfinano nella vera e propria derisione. II senso di estraneità rispetto al contesto in cui si trova a vivere è ben espresso da un suo racconto successivo: "Ma I' ambiente, inadatto per la veemente, sebbene occulta, voce dell'intimo che mi chiamava a dare forme d'arte alla pietra, mi faceva vivere a disagio e mi velava l'anima con infinito abbattimento. Si può dire peraltro che il mio spirito abbia vissuto una silenziosa e profonda tragedia, nel suo avventurarsi triste verso l'ignoto" (4).

Ma I'"infinito abbattimento" lascia ben presto spazio alla consapevolezza della sua vocazione artistica ed al bisogno di alimentare sempre più Ie sue doti innate attraverso lo studio ed i contatti con un ambiente artisticamente aggiornato e dinamico, quale quello della capitale.

II miraggio di poter lavorare a Roma assume concretezza gia nel 1911, quando I'appena diciannovenne Martinez vi si reca in occasione dell'Esposizione Internazionale e vi si stabilisce; svanendo pero due anni dopo, allorchè, respinto dalle scuole d' arte e botteghe romane per non aver conseguito la licenza elementare e bocciato agli esami di ammissione al Regio Museo Artistico, I'artista, privo di mezzi di sussistenza, deve fare ritorno a Galatina.

Qui decide di studiare da solo e, stanco di ripetere il repertorio di motivi ornamentali entro il quale si sente costretto, "suI finire del 1914 decide di provarsi, quasi di colpo, in un' opera di creazione"(5) : è un nudo a grandezza naturale realizzato facendo posare il fratello Pasquale, subito distrutto (destino che toccherà anche ad altre opere di epoca successiva che non riteneva all'altezza delle sue aspettative), e rimodellato, cui da il titolo di Il dolore umano (1. 5), opera che rivela l'influenza dell'arte classica ma anche del simbolismo decadente ormai ampiamente diffuso.

Sono anni di intense sperimentazioni e ricerche, interrotte forzatamente nel 1916, in occasione della chiamata alle armi (è intanto scoppiata la prima guerra mondiale, in cui perderà il fratello Carlo), e riprese quasi subito, quando Martinez, dopo otto mesi, fu riformato per malattia contratta in servizio e potè tornare a casa. Ragazzi di strada, contadini, compaesane prendono vita nelle testine quasi abbozzate, nelle tipiche "mascherine", nei disegni dal tratto velocissimo.

E' qui che inizia a farsi strada quella "facoltà di fare il ritratto a memoria", quella vena inesauribile di osservatore degli atteggiamenti umani che lo spingeva a riempire fogli su fogli di disegni "di persone che non s'erano mai sognate di posare per lui" (6).



II primo contatto col pubblico avviene nel 1917, anno in cui lo scultore partecipa alla Mostra degli Artisti Pugliesi, organizzata da AIfredo Petrucci per il Circolo Artistico di Bari, che lo vede presente con Il sogno del piccolo giocatore (I. 8) ed alcuni disegni; poi, nel 1920, espone alla Promotrice di Napoli, che lo mette a contatto con quella scuola naturalistica napoletana di Gemito, D'Orsi, Cifariello alla quale si possono ricollegare diverse sue opere di questo periodo. Era sua intenzione studiare presso uno di questi artisti, Filippo Cifariello; alla richiesta inoltrata da Martinez di poter frequentare il suo studio, Cifariello oppose però un rifiuto.

"Ma è sempre Roma la meta agognata, e nel 1922 I'artista vi si trasferisce definitivamente" (7); "ingenuo e maldestro provinciale, con un bagaglio di sogni e di speranze" (8) prende dimora in uno stambugio, precedentemente adibito a stalla, in via Monserrato 29, affollato dalle sculture del "periodo di provincia". La prima occasione per farsi notare nel panorama romano gli viene offerta dalla Mostra del Ritratto, organizzata dall' Associazione Artistica in via Margutta; comincia ad essere apprezzato dalla critica prima con Caino (II. I), opera esposta nel 1924 alIa I Mostra d' Arte Pugliese, caratterizzata da una forte carica espressiva, poi con Il Vinto (II. 8) , che gli vale I'elogio della Commissione esaminatrice alla III Biennale di Roma e quello di un artista di fama come Filippo De Pisis.

Frattanto si adopera per tributare al concittadino Toma, delle cui doti artistiche sarà sempre un convinto sostenitore, un doveroso riconoscimento: I'apposizione di una lapide commemorativa sulla facciata della casa dove il pittore era nato. Molti esponenti del mondo intellettuale ed artistico itaIiano (Antonio Guarino, Filippo Cifariello, Antonio Mancini, Rodolfo Villani, Arturo Lancellotti) insieme all'associazione "Apulia" di Roma, aderiscono alla sua iniziativa con una sottoscrizione che permette poi di inaugurare la lapide a Galatina, completata dal busto in bronzo (II. 30) eseguito dallo stesso Martinez ed inaugurato nel 1928.

A Roma, frattanto, I'opposizione all'arte di regime non lo accomuna a nessuna corrente di riferimento, a nessun cenacolo artistico: il suo isolamento, la sua solitudine divengono per lui quasi una bandiera, un vessillo agitato contro chi accetta facili compromessi (9).

Ciò nonostante il talento di Martinez continua a raccogliere riconoscimenti, e nel 1926 lo scultore completa il suo primo lavoro di committenza pubblica: quattro statue decorative in travertino, Ie Virtù Cardinali (II. 9) create per essere collocate sull' attico del Palazzo delle Assicurazioni di Roma. E' questa la prima tappa di una tendenza ad una stilizzata monumentalità verso la quale lo scultore inclina per breve tempo ed in modo episodico, rappresentata soprattutto dalle due statue collocate sui prospetto del Palazzo delle Finanze di Bari, II Pilota (III. 26.1) e Mastro d'ascia (III. 26.2) , realizzate intorno al 1934, e dalla Allegoria della fertilità del '38 (II I. 41), al Palazzo I.N.A. di Lecce.


Ma nel decennio dal '30 al '40 la sua arte subirà un' altra svolta, tornando ai busti, ai ritratti caratterizzati da un sobrio classicismo e da un'acuta capacità di indagine psicologica che la critica non manca di segnalare. Nel '39, in occasione della III Quadriennale di Roma e di un'esposizione alla Galleria di Roma in cui presenta un compendio della sua produzione, così si esprime Amadore Porcella: "Ia più vera personalità artistica del Martinez si è maturata come suo malgrado e quel che più vale, gli si è imposta alla coscienza" (10). Non per questo, però, Martinez smette di tentare nuove vie espressive: la sua è una vicenda che si snoda lungo un percorso faticoso, complesso, intessuto da slanci in avanti e successivi ripensamenti, sorretta da un' autocritica costante.

 

II rapporto con la sua terra di provenienza rimane caratterizzato dalla conflittuale coesistenza di affetto e odio, attaccamento e disprezzo. Pur trascorrendo ogni anno il periodo estivo nella località balneare di Santa Maria al Bagno, ospite dei parenti, ed evocando specie nella produzione dell'ultimo decennio il mondo popolaresco e contadino delle sue origini, Martinez si sentirà sempre respinto ed incompreso dai suoi concittadini.

Due vicende in particolare lo feriscono profondamente: il mancato conferimento dell'incarico di erigere, a Galatina, il Monumento ai Caduti della I Guerra Mondiale, e la critica accoglienza riservata alla sua Lampada senza luce (11. 28) divenuta nel 1936 fontana monumentale della città. Episodio, questo, che I'artista commenta con sarcasmo in una lettera indirizzata all'amico Francesco Bardoscia: "Le cose serie non sono accessibili alla mentalità di codesta brava gente, a cui piacciono Ie ampollose coreografie artistiche e tutto ciò che è appariscente, piacevole, gustoso" (12); il disprezzo dei galatinesi lo  fa sentire vicino al conterraneo Gioacchino Toma, a cui era toccata la stessa sorte: "Ma Toma non poteva restar solo. Oggi l'incoscienza umana ha creato il triste binomio" (13).

Nonostante queste vicende, Martinez dona al Comune di Galatina un cospicuo numero di opere, nel 1930 e nel '35, e tenta in ogni modo di prodigarsi per la città. "Tu sai" scrive ancora all' amico Bardoscia nel 1935 "quello che io ho fatto e sarei disposto a fare ancora per Galatina se le mie condizioni materiali me lo permettessero" (14).
 


Lo scultore dal 1928 in poi è divenuto una presenza assidua nelle più importanti mostre di livello nazionale: la Biennale di Venezia, in cui espone, con qualche interruzione, dal 1928 a1 1950 (nel '42 con una "personale" che la critica troverà "troppo affollata", Forse per la sua foga di presentare quante più opere possibile), e la Quadriennale di Roma, che lo vede partecipe nel '39, nel '43, nel '48, insieme a diverse esposizioni minori: Ie Mostre d' Arte Marinara tenute a Roma dal 1926 al '29, la Mostra lnternazionale d' Arte Sacra del 1930, la I Mostra Nazionale del Bambino nell' Arte nel 1932, nella quale consegue il Primo Premio con Mario (II. 37), varie mostre del Sindacato Artistico Laziale e quella del Sindacato Nazionale tenutasi a Firenze nel 1933, una mostra alla Galleria Pesaro di Milano nel 1932, e una personale alla Galleria di Roma nel 1939.

Ma il raggiungimento di una certa fama non si traduce per lui in un'esistenza più agiata: Martinez, che ha sposato nel '34 Amelia Testa, gia sua modella, del tutto ignorato da chi aveva il potere di conferire pubblici incarichi, sollecita inutilmente un interessamento nei suoi confronti attraverso lettere contenenti progetti ed idee per busti o monumenti in varie città. Un evidente distacco rispetto agli artisti più in linea con il regime, una solo formale adesione al Sindacato Fascista delle Belle Arti lo rendono un "isolato", il suo carattere fiero gli impedisce di entrare in certi ambienti.

A proposito del rapporto di Martinez col fascismo, è chiarificatrice una lettera datata 9 aprile 1945 (15) che lo scultore indirizza all' Ambasciatore a Roma dell'Unione Sovietica: afferma che il suo studio era divenuto raduno di comunisti che attuavano azioni di disturbo contro i fascisti; di questi I'unico superstite è lui, poichè tutti gli altri sono stati fucilati. Un'ostilità vissuta larvatamente durante il regime, ma intuibile già da un episodio eloquente: I'adozione di un provvedimento disciplinare (non meglio precisato) da parte della "Federazione dei Fasci di Combattimento dell' 'Urbe" contro Martinez che non aveva indossato la camicia nera in una manifestazione svoltasi il 21 aprile del 1941.

Ed ancora un singolare mezzo di protesta da lui adottato e ricordato da Virgilio Guzzi: "Ci metteva sott'occhio Ie cartoline postali indirizzate al Duce nelle quali egli fieramente protestava contro il gerarca" (16).

Negli anni successivi alla caduta del fascismo e alla fine della seconda guerra mondiale, varie esposizioni registrano l'evoluzione del suo stile, la cui sigla dominante è rappresentata dagli "aItorilievi", scene di vita popolare animate da pagliacci, bimbi, contadini, in cui scopriamo una vena narrativa finora inespressa: la Mostra d' Arte Sacra alla Galleria di Roma nel '46 ,la Mostra del Disegno alla S. Bernardo di Roma nello stesso anno, la Mostra dell' Animale nell' Arte nel '48, anno in cui viene insignito delI'onorificenza di Grande Ufficiale dell'Ordine Reale e Militare d'Inghilterra, una grande "personale" infine nel 1950 alla Galleria del Secolo.

Qui Martinez presenta, in una sorta di compendio di tutta la sua carriera, venticinque opere tra figure, teste, altorilievi e disegni, raccogliendo ampi consensi.

Da qualche tempo, intanto, la sua esistenza chiusa e quasi ostentatamente avversa ad ogni tipo di "mondanità" si è aperta ai rapporti sociali: "Un giorno gli avevo detto" racconta Porfirius con riferimento agli ultimi anni di vita dello scultore "che per farsi strada nella vita ci vogliono i rapporti sociali ... Così Gaetano cominciò ad invitare tutti, ed invitò signorinette esistenzialiste ... Fummo i primi a ballare a Roma il mambo" (17) Ma era ormai troppo tardi per tentare in questo modo la strada del consenso.

II 1951, anno della morte, è foriero di gioia e al tempo stesso di delusione per lo scultore: il premio "Einaudi", attribuito dall' Accademia di San Luca, gli sfugge per un soffio, conferito al più giovane Pericle Fazzini. Nel mese di settembre, però, con grande soddisfazione, dividerà con Emilio Greco, cui è legato da reciproca stima e simpatia, il premio per la scultura alla mostra promossa dall' Amministrazione Provinciale di Frosinone.


La morte, sopraggiunta il I ottobre a seguito delIa rottura di un aneurisma dell'aorta toracica, interrompe bruscamente il suo impegno nel preparare Ie opere da esporre alla IV Quadriennale, non permettendogli di completare I'ultima fatica, L'offerta ad Esculapio. La sua salma, traslata a Galatina, verrà tumulata nel cimitero della città dopo solenni funerali che vedono la partecipazione di personalità dell'arte, del giornalismo, della letteratura, accanto a gente comune convenuta a rendere l'estremo saluto all'illustre concittadino.

 

Su L'artemoderna dai neoclassici ai contemporanei, edito nel 1956, Emilio Lavagnino scriveva a proposito di Gaetano Martinez che lo scultore "eludendo sia la imitazione di artisti stranieri, sia quella delle forme novecentesche" aveva conferito alle proprie creazioni "una assoluta pienezza di vitalità plastica" (18).

Nel 1992 ribalta la prospettiva Vittorio Sgarbi, che afferma: "Echi di Andreotti, di Romanelli, di Torresini, di Messina e soprattutto l'esempio di Arturo Martini si fondono in una visione originale, anche se mai radicalmente innovativa" (19).

La parabola ascendente di Gaetano Martinez nell' ambito della critica si potrebbe racchiudere qui, tra questi opposti punti di vista.

E ci sono voluti molti anni perchè I'equivoco che gravava sull'artista, quell'equivoco nato dalla sovrapposizione di arte e vita, dalla confusione tra "isolamento" dal punto di vista sociale e mancanza di aggiornamento culturale venisse rimosso. Perchè mai come nel caso del galatinese la "spontaneità", la freschezza dell'ispirazione sono state scambiate per incultura; mai come nel suo caso il profilo di un artista "tutto istinto e rapidità" (20), nutrito all'humus dell'arte classica, volto a modelli come l'arte michelangiolesca ed il naturalismo ottocentesco ha adombrato la sua vera natura: di artista, è vero, privo di istruzione regolare, ma che ha saputo, nel corso della sua carriera, accogliere ed interpretare molteplici suggestioni dell' arte contemporanea. E non a caso Miccoli lo definì nell'85 "il fil rouge che percorre il complesso ordito dell'arte europea e che si annoda con correnti, personaggi e vicende rilevanti della nostra storia" (21).

Fin dagli esordi, a Roma nel 1922, Martinez non lascia indifferenti gli osservatori: è il Caino a fissare un'ipoteca sul suo futuro, "perchè ha saputo darci una prova tangibile del gran fuoco che l'alimenta"22, ma soprattutto Il Vinto, presentato nel 1925 alla III Biennale Romana.

Tra interventi che spaziano dalla benevolenza all'entusiasmo, fino al vero e proprio elogio per Ie qualità morali dell' artista e per la sua "istintualità" (23) spicca finalmente il parere di un artista, Filippo De Pisis, che in veste di critico coglie non solo I' ispirazione all' antico (Michelangelo) ma anche gli stretti legami che I'opera stringeva con artisti contemporanei come Mestrovic e Wildt (24).

Da questo momento in poi, il riconoscimento dei meriti artistici di Martinez passa anche attraverso il conferimento di vari premi: il premio della Reale Accademia d'Italia nel 1939, un premio della Commissione esaminatrice della Quadriennale del 1939 per il Nudo virile (III. 3), iI conferimento, nel '40, della cattedra di plastica nella R. Scuola Professionale di Civita Castellana (25); nel '49 Attilio Crespi e Alfredo Petrucci gli dedicarono una pubblicazione monografica, edita a Roma dall' Istituto Grafico Tiberino. L'attitudine a cogliere nelle sue opere, specie in quelle che hanno per soggetto il mondo dell'infanzia o dell'adolescenza, stati d'animo mesti e malinconici ha spesso portato i critici a ravvisare dei punti di contatto con la poetica del concittadino Toma (26) . Nel 1948 Alberto Neppi si sofferma su questo aspetto, affermando che nell' "onda di malinconia e tenerezza rassegnata" che Martinez riversa sui "bimbi adolescenti del popolo" si possono trovare "inconsapevoli punti di contatto con il pathos degli umili eroi e delle atmosfere monacali ed ospedaliere evocate con tanta struggente linearità d'accenti dal maestro della Sanfelice e del Viatico all'inferma" (27)

Le numerose "svolte" a cui I' artista rese avvezzi i suoi contemporanei, salutate talvolta con soddisfazione (28), altre volte considerate sintomo di "volubilità" (29), trovano la propria ragion d'essere, secondo Nicola Vernieri, talvolta nella perenne insoddisfazione dell' artista, talvolta nella facilità ad essere investito dall'influenza delle mode imperanti: "Ia suggestione che esercitavano ( ... ) taluni innovatori ad oltranza o importatori di cifre straniere, lo irretiva"; eccolo allora intento "ad infrangere a colpi di martello Ie sue creature spurie" (30)

La sigla stilistica più personale, fissata a partire dal '45 con la nascita della sequenza degli "altorilievi di tutto tondo", come Ii definì Valerio Mariani (31), è segnalata come il momento felice di maturazione della sua tormentata ricerca: "rappresentano", scrisse Alfredo Petrucci "per sentimento poetico della vita e dominio della forma, il culmine della sua attività creatrice" (32)

Ma era in un altro ambito e non in quello strettamente connesso al valore artistico che Ie qualità di Martinez spiccavano agli occhi dei contemporanei. In anni non facili per gli artisti "non allineati" uno scultore che pure partecipa alle più importanti esposizioni, così si autodefinisce, non senza una nota di amara ironia, in una lettera datata 16 settembre 1932: "isolato e solitario pupazzettaro che i nuovi dominatori hanno messo da parte"". E non per eccesso di vittimismo.

Le poche commissioni pubbliche furono ottenute spesso su sollecitazione dello stesso Martinez che rivendicava con orgoglio i suoi meriti artistici ed in molti casi segnalava I' ostruzionismo di cui si sentiva vittima. Scrisse ad Achille Starace, invitandolo a segnalare al Governatore di Roma alcune sue opere da acquistare e destinare alla "Galleria Mussolini" (34) ; scrisse anche, ancora senza successo, a Galeazzo Ciano (35).

Il 31 dicembre del 1934 il Segretario della Quadriennale di Roma Cipriano Efisio Oppo scrive a Martinez: "Ricevo una sua lettera ove si dicono cose non vere. Ella sarebbe stato di proposito escluso dall'invito alla Quadriennale, con rinnovato e documentato ostracismo!" (36). Per diversi anni la presenza di Martinez alla Quadriennale o alla Biennale di Venezia non sarà un fatto scontato, ma quasi una conquista ottenuta a Fatica.

Ancora nel 1935, dopo notevoli successi e la positiva accoglienza delIa Lampada senza luce del '28 e della Cariatide del '30 (II. 35) alla Biennale di Venezia Martinez scrive ad Antonio Maraini, Segretario Generale della manifestazione, per invitarlo a riconsiderare la sua esclusione per l'anno seguente: "Ella sa che Martinez ... non meriterebbe - particolarmente oggi ­ una simile condanna così poco opportuna" (37)

Non a caso Porfirius, dopo la sua morte, lesse il rapporto tra lo scultore e la società del tempo in chiave di un suo "disadattamento": "Egli fu lo scultore meno venduto d'Italia. Non fu una sigla commerciale, non seppe essere mondano, così non riuscì ad inserirsi tra gli amatori e i collezionisti che comprano bene"; ed ancora: "non passò per i buchi delle opportunità e delle occasioni sociali" (38)

Bisogna attendere la morte, e precisamente il contributo di Raffaele De Grada prima, di Vittorio Sgarbi, poi, perchè la sua personalità nell'ambito dell'arte del primo cinquantennio del secolo venga valutata con lucidità.

"Ha tutte Ie qualità, tutti i meriti", affermava De Grada nel 1974, "per essere considerato uno degli importanti scultori italiani da sistemare nella storia artistica del nostro secolo" (39); ancora più esplicito Vittorio Sgarbi, che nell'ambito degli artisti dell'Italia meridionale, lo definisce "la personalità più originale negli anni Venti e Trenta" (40).

E in questa prospettiva che si muove anche la nostra ricerca, con I'intento di dedicare finalmente a Martinez "una pagina di storia dell' arte" (41) .

 

note

 

I F. BELLONZI, Scomparsa di Martinez, in "La Fiera Letteraria", Roma, 7 ottobre 1951.

2 A NEPPI, Un lutto per I'arte italiana: Gaetano Martinez, in "La giustizia", Roma, 5 ottobre 1951.
3 G. MARTINEZ, Come scrittori, musicisti e artisti vedono se stessi e i loro critici, in "II Lavoro Fascista", Roma, 19 febbraio 1931.
4 Ibidem.
5 A. CRESPI, A. PETRUCCI, Martinez, Roma, 1949, p. 6.
6 Ibidem.
7 V. SGARBI. Scultura italiana del primo novecento,catalogo della mostra di Mesola. Bologna. 1992. p. 144.
8 G. MARTINEZ. op. cit.
9 Sui modo di considerare se stesso nell'ambito della società del tempo. cfr. il suo scritto intitolato Ricognizione e revisione, in "La Gazzetta del Mezzogiorno". 22 febbraio 1941.
10. PORCELLA, Gaetano Martinez scultore, in "La Gazzetta del Mezzogiorno", 5 marzo 1939.
11 II parroco della città si rifiutava di inaugurare la fontana, ritenendola "oscena" ed offensiva del senso del pudore dei cittadini. (Cfr. lettera indirizzata al Podestà dal parroco della città in data 4 aprile 1936, ASL Fondo Prefettura vers. VIII b. 120).
12 II brano citato è tratto dalla lettera datata 25 novembre 1935 indirizzata a Francesco Bardoscia, amico di Martinez e segretario politico del Fascio di Galatina. La lettera è custodita nell' Archivio Minafra, Galatina. 13 Ibidem.
14 Lettera datala 23 settembre 1935, e conservata nell'Archivio Minafra.
15 G. MARTINEZ, Lettera all' Ambasciatore dell'Unione Sovietica. aprile 1945 (Quademo-diario inedito, nell' Archivio Minafra, Galatina).

16 V. GUZZI, Lo scultore Martinez, in "II Tempo", I giugno 1950.
17 PORFIRIUS, Gli Artisti e gli Scrittori delle cave del Babuino ricordano lo scultore Gaetano Martinez in occasione delle Celebrazioni Nazionali che avranno luogo a Roma e a Galarina, Roma 1951.
18 Cfr. E. LAVAGNINO, L'arte modema dai neoclassici ai contemporanei, Torino 1956, vol II, p.1169.

19 Cfr. V. SGARBI. op. cit.. p. 21.
20 A. CRESPI. A. PETRUCCI. op. cit .  p. 15.
21 Cfr. A. MICCOLl, Gaetano Martinez, in "II Titano", suppl. al "Galatino", 28 giugno 1985.

22 O. D. CONFETTI, Gaetano Martinez, in "Parva Favilla", maggio 1923.
23 Viene principalmente enfatizzato il suo "esser nato dal nulla", la sua istintività unita ad un'irreprensibile moralità. Cfr. O. D. CONFETTI, op. cit.: "un'anima semplice ma vibrante tutta presa dalla nobile febbre dell'arte, desiderosa e decisa di salire in alto"; C. M. GARATTI, Due artisti, in "Alfa", ottobre 1923: "senza aver tolto nulla alle scuole, senza aver calcato mai soglia d'accademia, Martinez si è provato a scolpire per lo stesso intimo mistero per cui Giotto sulle rocce di Colle disegnava i montoni del suo branco"; P. Vinci, infine, (Gaetano Martinez, in "Rinascita", aprile 1925), lo contrappone ai "mercatanti e tirapiedi" che pullulavano all'epoca.
24 F. DE PIS IS, Lo scultore Gaetano Martinez, in "II Mondo", 5 dicembre 1925.
25 Sembra che la cattedra sia stata ottenuta per interessamento di Arturo Dazzi (efr. lettera datata I marzo 1940 indirizzata ad Arturo Dazzi, custodita nell' Archivio Minafra).
26 Cfr. anche A. Porcella, Arte e d Artisti d'oggi alla III QlIadriennale. in ''L'Arte''. ottobre 1939: "si esprime con un linguaggio così intimo, con accenti così umani da richiamarci il suo grande conterraneo, il nostalgico Toma". Questo accostamento della critica trova fondamento anche nelle stesse parole di Martinez, che si sentì vicino al Toma e volle celebrarlo con il busto in bronzo inaugurato nel 1928 a Galatina.
27 A. NEPPI. Ritratto di Martinez in "II Giornale della Sera". 30 ottobre 1948.
28 "Martinez si rinnova ( ... ) Martinez architetto di volumi plasticamente umani, ha vinto Martinez scultore neoclassico" dirà Silvio Marini nel '33, cogliendo la capacità delIo scultore di indagare una varietà di momenti psicologici dell' animo umano. (Cfr. S. MARINI. Gaetano Martinez scultore pugliese, in "La Puglia Letteraria", 31 gennaio 1933).

29 "Capriccioso e volubile" lo definisce Repaci in occasione della sua partecipazione alia Biennale di Venezia del '42. (Cfr. L. REPACI, XIlI Biennaledi Venezia. Gli italiani, in "L'Illustrazione italiana", 21 giugno 1942.
30 N. VERNIERI, Commemorazione di Gaetano Martinez, Lecce, 1953, pp. 6-7.

31 V. MARIANI, Scultura di Martinez, in "Idea", 28 maggio 1950.
32 A. PETRUCCI, II galatinese Martinez nel giudizio di un nostro scrittore, in "Momento-sera", 15 gennaio 1950.
33 La lettera è indirizzata ad un "Illustre Commendatore" di cui non conosciamo il nome e custodita nell'Archivio Minafra. In essa Martinez sollecita I' interesse del destinatario nei confronti di una sua idea per un Monumento all' Agricoltore d' Italia "il quale glorificasse, in una sintesi di forme simbolicamente realistiche, il lavoro dei contadini". II suo appello non ottenne risposta.
34 La lettera, datata 17 gennaio 1934, è custodita nell' Archivio Minafra; reca la postilla autografa: "Mai nulla mi fu dato di ottenere da tanto "Gerarca".

35 Nell' Archivio Minafra è conservata la lettera che Martinez ricevette in risposta. non datata.
36 La lettera è custodita nell' Archivio Minafra.
37 La lettera, datala 22 ottobre 1935, è custodita nell' Archivio Minafra.

38 PORFIRIUS, op. cit.
39 R. DE GRADA, Per Martinez una pagina di storia dell'arte, estratto da "Nel mese", gennaio-febbraio 1974. E' il discorso inaugurale della retrospettiva tenutasi nell'ottobre 1974 alla Galleria "Arte-Spazio" di Bari.
40 V. SGARBI, op. cit., p. 21, e Id., Gaetano Martinez. La forma senza tempo, in "II Galatino". 27 giugno 1996.
41 R. DE GRADA, op. cit. Come ulteriori testimonianze della fortuna di Martinez successiva alla sua morte sono da segnalare gli apprezzamenti di Fortunato Bellonzi, di Christine Farese Sperken, di Ilderosa Laudisa, e Ie varie esposizioni promosse in ambito locale.

 

 

 

 

PAGINA PRECEDENTE

 

 

 

Documentazione  GAETANO Martinez
 
archivio prof. Carlo Minafra
via Grassi 43 - 73013 Galatina (LE)

PER INFORMAZIONI:  info@gaetanomartinez.it