GAETANO MARTINEZ
l'uomo e lo scultore - biografia

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 3 MARTINEZ AUTOGRAFO

 

 

 

 

INCHIESTA SU ME STESSO (1927) di Gaetano MARTINEZ

 

Giacchè siamo arrivati allo spirare dell’anno di grazia 1927, ed abbiamo oggi contati i nostri 35 anni suonati il mese scorso di novembre, ci sia permesso – poiché siamo in casa nostra, dare uno sguardo al nostro stesso cammino, con l’unico proposito di dare uno sguardo su quanto abbiamo goduto e abbiamo sofferto dal giorno in cui la pazzia dell’istinto ci prese, ostinata e tremenda, per tuffarci, poveri e soli, nella lotta per la conquista del nostro Dio assegnatoci da madre natura.


E non chiameremo biografia o per meglio dire autobiografia, quanto ci proveremo a raccontare con le nostre modestissime forze, coscienti di dire che per noi, è ancora troppo presto pensare a questo perché il lungo e tremendo cammino per noi non è finito, diremo anzi che esso cammino non ha fatto che solo pochi scalini.


La chiameremo dunque…come dice? Inchiesta sulla vita di… Gaetano Martinez. Va bene? Detto questo, adesso faremo parlare lo stesso Martinez, poi, in ultimo, chiuderemo noi, con la nostra impressione, sincera e schietta.


Fu registrato che io nacqui in Galatina in quel di Lecce di Puglia, il giorno 14 novembre dell’anno 1892. Da ragazzo ero un monello irrequieto e ne facevo di tutti i colori.
Mio padre, gran brava persona, morta pochi anni or sono,faceva l’appaltatore di costruzioni edilizie. Le condizioni della sua famiglia composta, allora, di nove persone,furono sempre modeste da tirare avanti benino; e con l’economia ed il lavoro, mio padre riuscì a costruirsi uno stabile di diversi vani. Sicchè io dovetti lottare non con la miseria, ma con la povertà. E non solo questa mi fu compagna d’infinite amarezze, ma la solitudine e l’indifferenza “generale” che mi circondò sempre, furono altrettanti compagni nella lunga e aspra vigilia., avendo, in codesto luogo natio, su ricordato, passato molti anni della mia giovinezza, e cioè fino al 1921. Abbandonati che ebbi gli studi alla quarta elementare, e dopo essere stato dapprima ragazzo di un barbiere, poi di un fabbro e poi ancora di un falegname, mi arrabattai a fare alla meno peggio, traverso di muratore e lo scalpellino, l’intagliatore su pietra leccese che esercitavo a periodi.


Ma fin fa ragazzo io fui sempre pieno di sogni.
Per poco più di due anni frequentai una locale scuola operaia di arti e mestieri, ove semplicemente imparai a copiare, scolpendo su pietra e disegnando sulla carta, un po’ d’ornato; ma il maggiore profitto, sia pure in un genere così elementare, lo ricavai sa solo a casa mia, ove in una cameretta mi appassionavo a modellare composizioni ornamentali.
Sul dicembre 1911 venni a Roma con lo scopo di studiare a spese della mia famiglia che in me deponeva, ingenuamente, delle speranze che presto sarei diventato un professore con tanto di diploma, e vedermi presto insegnare…Io invero avevo altro per la testa ed al pezzo di carta bollata…non ci pensavo nemmeno. Pur tuttavia tentai di entrare in qualche scuola. Bocciato agli esami d’ammissione al Museo Artistico Industriale, non ammesso all’Istituto di Belle Arti perché sprovvisto della licenza elementare; più tardi bocciato anche alla prova per la frequenza della Scuola Libera del nudo. Abitavo nei pressi di piazza Indipendenza. Sconfortato da tante bocciature tentai invano ficcarmi nello studio di qualche scultore, anzi questo era il mio desiderio di vedere modellare uno scultore; ciò che non mi fu mai possibile, e forse perché il mio destino era stato tracciato così, in maniera che da solo affrontassi, senza guida e senza mezzi, anche gli ostacoli dei procedimenti del mestiere oltre che tutto il resto viene dopo.
Autodidatta, dunque, e nel modo più schietto,vergine e assoluto. Sicchè, rimasto in balia di me stesso altro non potei fare che comprarmi dei gessi e copiarli a casa. Finiti che l’ebbi, volli farli vedere allo Zanelli che aveva studio lì vicino. E l’illustre scultore, da me pregato, si compiacque, con rara gentilezza, in una giornata piovosa d’inverno, venire a casa. Fattami qualche piccola osservazione,egli mi disse chiaro e tondo che avevo copiati molto bene, e mi incoraggiò anche esortandomi a mettermi presto a studiare dal modello vivente. Avendo poi il predetto scultore visti alcuni miei disegni di composizione figurative, mi disse che di idee ne ero fornito abbastanza, ma che era naturalmente, troppo presto pensare a composizioni.
Ed era vero.


Passati così alcuni mesi di soggiorno a Roma, la mia famiglia, non potendo più fare ulteriori sacrifici per me, nel mantenermi nella capitale, cominciò dapprima a diminuirmi lo stipendio mensile, e poi sospenderlo.
Peregrinai allora in lungo e in largo per cercare di occuparmi per tema di dover far ritorno in provincia col timore di essere deriso da tutti coloro che mi conoscevano : per poche settimane trovai da lavorare motivi per stucco. Rimasto disoccupato e rovinatomi un po’ la salute per delle intemperanze, dovetti, mio malgrado per il sopraggiunto di un mio fratello, far ritorno a casa, dopo circa venti mesi passati qui tra il 1912 e il 1913; tra la speranza di una meta che ancora non s’era iniziata e l’amarezza di un ritorno che s’era messo in cammino. E questo è ancora nulla, l’odissea non che era che al principio ma dovrei scrivere un romanzo se mi dovessi fermare su tutto.
Eccomi dunque, di nuovo a Galatina. Mi sentivo ritornato come un collegiale il quale, non essendosi portato bene in collegio, dai familiari è stato rimproverato e ritirato per castigo. Passato un periodo di incertezza, presi i scalpelli, mi arrabattai a preparare fregi e mensole che poi mio padre si industriava di adattare sui fabbricati da lui costruiti, e di tanto in tanto , sempre però per merito di mio padre stesso, perché io mi sentivo come umiliato ad avvicinare persone nel cercare del lavoro- facevo qualcosa per altri. Quantunque ero considerato il migliore intagliatore in pietra del mio paese, per la mia indole io avevo sempre meno lavoro degli altri.


Ma cominciavo già ad odiare cotesto mestiere e quotidianamente pensavo al mio tormento che fu incessante. Solo verso la fine del 1914 mi decisi una buona volta a cominciare a studiare seriamente, dal vero col modello vivente, anche senza una graduale e necessaria preparazione. Racimolati un po’ di risparmi e adattando alla meno peggio un muratore a modello mi misi poscia e studiare, e a cominciare a fare qualcosa,adattando per la prima volta a farmi da modello un mio stesso fratello. I saggi di quell’anno (1915) tutt’ora conservo. Sul più bello dovetti partire soldato per richiamo durante la guerra, ma dopo otto mesi ne fui rimandato a casa per sempre, male andato in salute. Disorientato e senza un soldo in tasca, ricominciai, dopo qualche tempo d’incertezza, la dolorosa istoria: lavoravo di maniera, modellando teste, di tanto in tanto dal vero adattando ragazzi a modelli che compensavo o con fichi secchi o con pochi soldi; ma continuavo ad arrabattarmi sempre a fare qualcosa di intaglio. E nella confusione e disordine passai così diversi anni, con la più amara nostalgia dell’animo mai soddisfatto di nulla, e apparendo agli occhi di tutti un vero povero diavolo, che si trastullasse a fare pupazzi. Ma ebbi la forza di subire tutto in silenzio.
Nell’animo mio, per anni non vi fu mai pace, tanto che, a periodi, nei momenti di pianto intenso; tutto non posso dire. La mia natura era sensuale e impressionabilissima, per cui mi sembrava di vivere sempre come sotto una cappa di piombo.
Finalmente, nel marzo del 22, racimolata che ebbi una somma (con un po’ di lavoro e con una pensione che allora mi fu assegnata dall'esercito perché la mia riforma fu addebitata a cause di servizio militare durante la guerra) partii come un dannato, con tutte le mie masserizie, per le quali mi fu indispensabile un intero vagone, per la Capitale. E portai tutto nell’angusto e freddo locale ed umido locale che tuttora occupo, e che mi costò la somma di circa 4.000 lire che dovetti sborsare all’ingordo speculatore che già mi aveva preso in trappola dopo abili raggiri di volgare affarismo, e con la complicità di una donna intermediaria alla quale un mio amico si  era rivolto per cercarmi uno studio ( bisogna qui ricordare che un anno prima io mi ero recato a Roma con la speranza di trovarmi un localuccio, ma che fu un tentativo vano dopo più di 15 giorni di gira e rigira). Non importava.  La meta era ormai raggiunta. E quale? Immaginavo qui, con la mia provinciale e vergine ingenuità e con l'anima nostalgica, che gli artisti e si aiutassero, che fossero sognatori affratellati religiosamente sotto la Dea dell'arte.

Non solo, ma non potei  anche, logicamente, per la nessuna praticità ed esperienza della vita e della sua dura realtà, che incontrare  anche qui non poche delusioni, amarezze e inganni, ed imparare a spese mie molte cose. Di conseguenza non mancarono, anche qui, i giorni neri e tremendi. Qualche sollievo modestamente mi arrivava da due miei fratelli, ed un mio amico, a me affezionatissimo mi potè più tardi in un certo modo, essere di non lieve conforto: Adolfo De Gregorio, che merita di essere qui ricordato. Di altri modesti amici sinceri   e buoni, conservo un buon ricordo,  perchè mi seguono e mi vogliono bene.

Solo dunque e senza appoggi di sorta, impressionato e timido specie davanti agli uomini e alla vita, coraggioso davanti a me stesso ed all'arte, inizia anche qui la mia battaglia non senza enormi ed inenarrabili sacrifizi più tremendi, di quelli passati, non sapendo chiedere nè sacrifizi nè umiliazioni ad alcuno, sia pure, spinto dalla necessità. Sicchè con tutti i miei buoni propositi di questo mondo, anche qui mesi e mesi di ozio totale e lavoro e studio a lunghi intervalli. E facciamo qui punto.

Cominciai con l'esporre al circolo artistico, poi agli amatori e cultori, alle mostre primaverili di "Fiamma", in un galleria di Piazza Venezia, tenni una mostra personale di terrecotte di gneere modellate tra il 1917 e il 1920, cioè del periodo.

Alla mostra degli artisti pugliesi tenuta a Roma nel '24 a Palazzo Salviati, tra altre cosette esposi anche una grande statua di Caino modellata in venti giorni nel primo anno giunto a Roma; Alla terza Biennale romana (bonanima) esposi il gran torso del Vinto; ed altre cose alle due mostre d'arte marinara. Senza vie traverse ebbi l'incarico di scolpire le quattro grandi statue per l'attico del Palazzo delle Assicurazioni  di Stato a Roma.

Alla prossima Biennale di Venezia spero poter esporre la mia cosa migliore modellata di recente. Ed ha per titolo :"Lampada senza luce".

Il monumento ai caduti del mio paese natio fu affidato, quand' io esposi alla Biennale Romana, ad un estraneo ed è una delle cose più balorde che io abbia visto tra i monumenti di guerra. Io scelsi la via del sacrifizio senza avere il monumento, e non quella dell'umiliazione accettando il monumento. E anche qui pagai a mie spese la dignità del mio carattere. Punto e basta se pure non finisca tutto quì .

Chiederanno gli altri, ora il risultato di questa inchiesta.

 

 Dicembre 1927
 

 

 

 

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Documentazione  GAETANO Martinez
 
archivio prof. Carlo Minafra
via Grassi 43 - 73013 Galatina (LE)

PER INFORMAZIONI:  info@gaetanomartinez.it